venerdì 7 settembre 2012

ITALIANS DO IT BETTER

mind the wallabies Alex
Com’ è bizzarro il nostro Belpaese. Da anni ormai la produzione e in generale gli affari interni in Italia vanno a picco, rasentando la disperazione più totale. Le industrie chiudono, le aziende falliscono, i sindacati lottano e i politici gongolano. Eppure se consideriamo le esportazioni, il Made in Italy regge anche al tempo della crisi. Anzi, spopola. 
Pasta, pizza, vino, parmigiano, arance di Sicilia, Ferrari, Tod’s: la lista di brand e “pezzi da 90” che vantano innumerevoli tentativi di imitazione è lunga come un Rotolone Regina. E’ soprattutto l’Oriente, e in particolare il popolo degli occhi a mandorla che, come uno scolaro imbranato allunga l’occhio per copiare il compito del compagno secchione, cerca di imitarci. Da un po’ di tempo a questa parte, anche nel calcio lo stile italiano è molto apprezzato. Anzi, riscoperto possiamo dire.
Già, perché se la mia memoria e Wikipedia non mi ingannano il primo calciatore italiano a calcare i campi di calcio oltre la dogana fu Giorgio Chinaglia che nel 1976 fece la valigia col dizionario di inglese dentro e salutò tutti per andare a giocare a New York, sponda Cosmos. Da Chinaglia a Del Piero, ne sono passati di tifosi sugli spalti, eppure e specialmente negli ultimi anni i calciatori nostrani, giunti alle porte del pensionamento da vecchiaia, emigrano con o senza famiglia al seguito in cerca di nuovi trofei da vincere e, ovviamente, soldi da mettere sul già ricco conto in banca. 
Un tempo era l’America la meta preferita di attaccanti e difensori over 35, poi nelle primissime stagioni del Terzo Millennio gli sceicchi medio-orientali e i loro petroldollari hanno cercato di attirare funambolici giocolieri del pallone per far gioire i loro sudditi. E’ il caso, per esempio, di Fabio Cannavaro che nel 2010 lascia la Penisola per firmare un contratto da capogiro con l’Al-Ahli, Emirati Arabi Uniti, campionato che non ha certo la risonanza della Serie A ma che certamente offre linee di credito pressochè illimitate. 
Poi è arrivata la Cina, l’immensa Cina, che ha vinto tutto ciò che c’era da vincere negli altri sport, ma che col pallone tra i piedi non ci ha mai capito molto. E continua a non capirci granchè: il colpo è stato portare prima la Supercoppa Italiana a Pechino, poi un allenatore campione del mondo come Marcello Lippi a sedere sulla panchina del Guangzhou Evergrande, ma se proprio dovevano rubarci i giocatori potevano trovare qualcosa di meglio rispetto a Firmani e Liverani. In ogni caso i luccicanti arrivi di Drogba e Anelka mostrano segnali di risveglio e interesse del popolo cinese verso il calcio, europeo in particolare, e la colonia di italiani in Cina non farà altro che espandersi. 
Le novità sono sicuramente Canada e Australia, tralasciando la Svizzera che per ovvi motivi di vicinanza qualche calciatore biancorossoverde se lo porta via. Nesta, Corradi e più recentemente Di Vaio si sono costruiti una seconda vita calcistica nella Nazione della foglia d’acero, da sempre impegnata a cercare di sorpassare gli odiati cugini americani che a forza di dollari hanno impreziosito e non poco la loro Major League Soccer altrimenti quasi amatoriale. I “canguri” invece con l’accoglienza da re che stanno riservando ad Alessandro Del Piero, fresco di firma col Sydney FC, sperano di attirare ben presto altri calciatori del nostro Paese che vogliono incantare le platee poste a una decina di ore di fuso orario in cambio di lauti stipendi e regalini vari alle mogli che rimpiangono il Belpaese.
Un campanello d’allarme per la nostra Serie A? Tutt’altro, direi piuttosto che gli investimenti dei Paesi in via di sviluppo calcistico sono per noi un’opportunità. Se non altro chi se ne va ha già dato tutto o quasi, e in assenza di ricchi portafogli, i d.s. italiani saranno costretti una buona volta a dare un’occhiata in più ai nostri vivai. E poi se i nostri ex-campioni sono richiestissimi, un motivo ci sarà no? Scusami Madonna se ti rubo di nuovo la citazione ma è proprio vero: Italians do it better. 
Simone Sagulo

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