Socrates Brasileiro Vieira Sampaio etc etc., insomma Socrates, per gli amici o Doutor.
Socrates era un uomo diverso. Era completamente diverso dal resto del Brasile. Per Socrates il calcio non era la cosa più importante del mondo.
Pausa scenica per fare in modo che capiate l' entità di questa frase.
Socrates era un lungagnone di 1 e 93 allampanato e con un piedino minuscolo (38 ma c' è chi dice 37) ma sul quale Eupalla aveva dato un bacione grande così.
Tirato su a pane (poco) e cultura (tanta) in quel di Riberao Preto, un paesone dell' interno dello stato di Sao Paulo, alternava gli allenamenti con la squadra locale il Botafogo, ma non quello famoso di Rio bensì l' altro, e le lezioni all 'università.
Sì perchè "Crates" voleva diventare medico, più precisamente pediatra.
In quattro anni segna una caterva di gol attirando le attenzioni dei club più importanti del paese, ma fa il grande salto solo dopo aver conseguito la laurea.
Tra il '78 e l' 84 in 300 partite segna 172 gol con la maglia del Corinthians ma soprattutto diventa il simbolo della DEMOCRACIA CORINTHIANA.
Stiamo parlando degli ultimi anni di una pesante dittatura militare e tutto il Brasile era pervaso da un nuovo spirito democratico rappresentato magistralmente dall' autogestione del Corinthians: tutte le decisioni venivano prese per votazione e tutti i voti avevano pari dignità da quello dei dirigenti fino all' ultimo dei magazzinieri.
Il loro motto era VINCERE O PERDERE, MA SEMPRE CON DEMOCRAZIA.
Sembra incredibile ma questa pazzia funzionò e non solo sul campo, infatti il Timao vinse due titoli Paulistas consecutivi, ma soprattutto riuscirono a risanare i conti del club.
Si fecero portatori dei valori democratici che il popolo brasiliano rivendicava e prima ancora che le maglie storiche dei club venissero profanate con scritte pubblicitarie in nome di un dio chiamato denaro, il Timao usò le proprie come veicolo per quei valori rivoluzionari scrivendo sulla propria divisa la parola DEMOCRACIA.
E' in questo periodo che la figura di Socrates assunse contorni leggendari, egli non era un atleta, era principalmente un uomo politico che usava un talento calcistico smisurato per propagandare il suo pensiero.
E il popolo lo amava, gli venne assegnato quello che probabilmente è il soprannome più bello di sempre: o carcanhar que a bola quediu a Deus, il colpo di tacco che la palla chiese a Dio. Pura poesia carioca, quel misto di allegria e nostalgia che solo la lingua portoghese può trasmettere.
Dopo l' esperienza al Corinthians si trasferì in Europa, nella magnifica Firenze di Antognoni.
Ma non ebbe la stessa fortuna che trovò a casa. Il nostro calcio non lo ha mai capito e neanche lui ha mai capito noi.
Colpi di tacco, birra e sigarette, l' ordine sceglietelo voi, ma comunque un uomo straordinario che una volta appese le scarpe al chiodo si dedicò alla medicina ed esercitò come pediatra.
E' vero che non venne mai pienamente apprezzato come calciatore a Firenze ma restò comunque l' impressione di aver avuto a che fare con un uomo fuori dal comune. Quando si spense il 4 dicembre 2011 laggiù dall' altra parte del mondo, qui a Firenze pioveva e per uno strano scherzo del destino molti di noi erano allo stadio, sotto una pioggia insistente si levarono migliaia di pugni chiusi verso il maxischermo che raffigurava il dottor Socrates e in un abbraccio silenzioso sussurrammo fra noi: Obrigado Doutor...
Fedde
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