Quanti di voi hanno visto le partite di Champion's di ieri sera? Aldilà della mia innata antipatia verso quella squadra a strisce verticali bianconere (non l' Udinese, l' altra) ho sperato sinceramente che facesse fare una bella figura al calcio nostrano. Non è andata così, oh sia chiaro, personalmente rimango dell' idea che Bayern e Juventus siano più o meno sul solito piano e che la prestazione fornita ieri sera dai "gobbi" sia talmente inferiore alla media che in qualsiasi indagine statistica verrebbe scartata. Ma allora perché la Juve ha rimediato 2 schiaffoni dai bavaresi? Prima di tutto non credo che la chiave della partita sia da ricercarsi negli episodi, vedasi la mancata parata di Buffon al primo minuto oppure il millimetrico fuorigioco di Mandzukic (spero si scriva così), infatti dopo questi episodi sfortunati il Bayern ha comunque messo fortemente in difficoltà la Juventus. Fondamentalmente il punto è da ricercarsi nell' incapacità della Juventus di uscire palla al piede dal pressing del Bayern, e nella distanza siderale fra il centrocampo e l' attacco bianconeri, tanto che Quagliarella e Matri all' intervallo hanno abbracciato Pirlo dicendogli "è un monte che non ci si vede". Tutto sommato credo che comunque la Juve di ieri "troppo brutta per essere vera" possa fare molto meglio a Torino e provare ancora a passare il turno. Piccolo inciso sull' arbitro, non per fare gli italiani che guardano sempre al giudice di gara, la prima mezz' ora mi è piaciuto molto, dopo mi sa che non ci ha capito più nulla vedasi i cartellini gialli dati a casaccio. Ecco fatto il pensierino sulla Juve, tranquilli gobbi tanto peggio di così al ritorno non potete fare.
Sincerly yours,
@Fedde_arr
p.s.: avevo scritto 2 righe su Psg-Barça ma Lapo se le è pippate.
Sciabolata morbida... ma non troppo
mercoledì 3 aprile 2013
martedì 12 febbraio 2013
WE PAISA’, JAMMUCCINN IN SERIE A
Quando il calcio si gioca al “campo sportivo”: viaggio tra le squadre non-cittadine che sognano, più o meno, la massima serie.
Una diapositiva di Roccacanuccia-Borgo a Buggiano, spettatori paganti 3, quota abbonati 4 quel giorno la torcida roccacannuciese era in fiamme NdF |
Balotelli chi? Basta con i soliti elogi e le solite critiche ad un indiscusso protagonista del pallone nostrano, il vostro Zio Sagu adora parlare di argomenti di nicchia e l’espressione tipicamente napoletana che titola il mio articolo parla chiaro: spazio alla B e in particolare alle squadre “non di città”.
Ve lo ricordate il miracolo Chievo? Gli scaligeri di un più giovane, ma non troppo, Gigi del Neri che partendo da un piccolo quartiere di Verona hanno scalato l’enorme montagna del professionismo per assaporare, seppur per una manciata di giorni, il gusto del primato da scudetto e poi accontentarsi (si fa per dire) di un’epica qualificazione in Europa. Correva l’anno 2001 e di Chievo in seguito non ce ne sono più stati, e nessuna squadra di paese al momento fa parte della massima serie, considerando che Chievo è comunque comune di Verona capoluogo di provincia. La riscossa delle paesane è però in atto, e vediamo allora chi nel giro di qualche anno andrà, come Davide contro Golia, a sfidare le nobili cittadine del calcio tricolore.
Sassuolo, provincia di Modena, 41mila abitanti. Da quando i verdeneri emiliani sono in B, a Sassuolo non ci ha giocato più nessuno nel fine settimana e le gesta di Berardi, Terranova e soci si possono ammirare al più grande stadio Braglia nel capoluogo. Poco male per i tifosi costretti al trasfertino, perché Sassuolo è già da qualche anno sinonimo di spettacolo imperdibile in cadetteria e mister Di Francesco ha per le mani una corazzata che sta sbaragliando l’agguerrita concorrenza delle nobili decadute Livorno e Verona. Il presidente Lori tempo fa in un’intervista nominò due fantascientifiche parole: Champions League. Più fattibile con un Campionato Master alla play, ma chissà, il calcio ha sempre qualche storia impossibile da raccontare.
Empoli, provincia di Firenze, 48mila e rotti abitanti. I toscani tra il 2005 e il 2007 hanno avuto già l’onore e l’onere di rappresentare il nostro Paese in Coppa Uefa, peraltro senza grossi colpi di scena. Dopo la retrocessione la piccola società del presidente Corsi si è un po’ impelagata nelle sabbie mobili della seconda serie, lo scorso anno addirittura la Lega Pro sembrava ad un passo ma ai playout i biancoblu hanno evitato il peggio salvandosi a scapito del Vicenza. Al “Castellani” (lo stadio dell’Ikea come amano chiamarlo gli acerrimi cugini fiorentini) oggi si respira un’aria diversa: dopo un’avvio da film dell’orrore, la gestione Sarri ha cominciato a dare i suoi frutti e, guidati dall’inossidabile figliol prodigo Maccarone, dall’ex nazionale Ciccio Tavano e da un plotone di agguerriti giovani di talento (Pucciarelli e Saponara su tutti), i Desperados della torcida sono un po’ meno desperados e la rimonta è arrivata a toccare i playoff.
Castellammare di Stabia, più di 64mila anime. A proposito di playoff, premetto che non amo particolarmente la parola Juve, ma associata a Stabia fa un po’ meno male parlarne. Eh già, perché le “vespe” sono una bella realtà della cadetteria. Piero Braglia è tecnico che la sa lunga e la coppia di presidenti Giglio-Manniello investe fortemente su una squadra che è una macedonia di esperti della categoria (Caserta, Bruno, Cellini, Gorzegno) e nuove leve di grande prospettiva (Mbakogu, Acosty e il duo di baby portieri Nocchi e Seculin). Oltretutto il sintetico campano è ambiente caldissimo per merito di una tifoseria che culla la squadra come la mamma con il suo bimbo. Un po’ meno prodigio, data la partenza di un certo Marco Sau, ma pur sempre promettente.
Dalla Campania risaliamo in Veneto, direzione Cittadella in provincia di Padova, dove risiedono non più di 20mila abitanti e ci togliamo il cappello di fronte a Claudio Foscarini e al suo record. Il “Ferguson” di Riese Pio X (sembra un nome di un papa, è il paese che gli ha dato i natali) è infatti da ben 8 anni filati l’allenatore della compagine amaranto, una sorprendente eccezione in un paese dove la durata media di un tecnico equivale a due/tre sedute di allenamento.
Gli euganei sono come la zanzara che dà fastidio un po’ di qua e un po’ di là: stazionano a centroclassifica con mostruosa costanza, cogliendo in qua e in là successi pesanti che scombinano la lotta promozione e la bagarre salvezza. Merito solo del mister? Macchè, il Citta dello scorso anno incantava con Pettinari e Bellazzini, oggi ci pensano Di Carmine, Di Nardo e un solido impianto difensivo ad esaltare i pochi ma buoni fedelissimi del “Tombolato”. E non dimentichiamoci di Pierobon, classe ’69, un amuleto contro la sfiga più che un secondo portiere. Ma in Italia, si sa, la scaramanzia regna e tanto vale tenerselo il vecchietto più che mandarlo in pensione.
Il mio giro per il Belpaese alla caccia del nuovo Chievo si chiude in Abruzzo, a Lanciano (CH), patria della Virtus e di 36mila abitanti. I rossoneri sono gli esordienti assoluti di quest’anno e il fatto di essere novizi ha giocato a sfavore soprattutto di mister Carmine Gautieri che ha più volte rischiato di essere esonerato dal presidente, pardon, presidentessa Valentina Maio (lo sapete meglio di me, le donne sanno essere spietate). I risultati però sono pian piano arrivati e trascinati dai gol di Vastola e Volpe, dalle punizioni capolavoro di Mammarella e dalle parate di un super Leali, che ha studiato da un certo Gianluigi Buffon, i giovani abruzzesi sono ora in linea di galleggiamento. L’obiettivo massimo del Lanciano è certamente la salvezza, e magari uno stadio nuovo dato che il “Biondi” è un campo di patate in mezzo a un decadente velodromo. Ma se è vero che tutto il mondo è paese, perché un paese non può sperare un giorno di esser sul tetto del mondo?
Provinciali d’Italia, forza e coraggio, che di Juve, Milan e Inter il buon vecchio Zio ne ha già pieni i “cojones”.
Zio Sagu, @SaguReSole
giovedì 24 gennaio 2013
Italia allo STADIO brado
Viaggio alla scoperta di come il mondo dell’italico pallone spera (e si illude) di superare l’emergenza stadi.
Bentornato zio Sagu. Ebbene si, rompo un lunghissimo silenzio stampa tornando a scrivere su questo blog, sperando di focalizzare subito la vostra attenzione su una delle questioni più spinose del nostro malato pallone italico: l’emergenza stadi.
Avrei potuto parlare di caso-stadi, di questione-stadi, ma per me è una vera e propria emergenza. Da nord a sud, da Torino a Lecce, da Trieste a Palermo le nuove star del calcio italiano non sono più i pettinati, cotonati e scapestrati campioni della domenica; le luci della ribalta adesso illuminano sindaci, assessori, presidenti, progettisti, burocrati e chi più ne ha più ne metta. Già, perché il tifoso medio di oggi è sì impegnato a pagare le rate di Mediaset Premium o Sky Calcio, ma in gran segreto segue da vicino le vicende del nuovo stadio, quello che Zamparini quanto Ballotta, Lotito quanto Della Valle, gli hanno promesso a intervalli regolari. Si parla di immensi parcheggi, di centri commerciali e ristoranti sul modello delle “arena” e dei “park” anglo-tedeschi, di capienza allargata e manto erboso sintetico di ultima generazione (ma sappia telo, nonostante l’impatto visivo il campo fangoso di Terza Categoria mi trasmette più emozioni).
Progetti, scartoffie e castelli in aria. Ma quanti davvero hanno realizzato un nuovo impianto nel Belpaese?
Al momento solo le squadre del vecchio Regno di Savoia, Juventus e Cagliari, hanno compiuto il grande passo. Sollevando peraltro molti dubbi per la tenuta strutturale: lo Juventus Stadium è sempre pieno e certamente molto suggestivo, ma pare che la fretta di aprirlo lo abbia reso fragile come un Taralluccio.
E restando in tema di biscotti, “Is Arenas” sembra addirittura un Grancereale, pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. Almeno una cosa l’hanno azzeccata i rossoblu: hanno ridotto i posti a sedere, saggia decisione considerando che i nuovi ultras prediligono il divano alle buone vecchie curve dietro la porta.
Cominciamo dalla capitale, dove la Roma ha da poco annunciato il mega-stadio da 60.000 posti che manderà in pensione l’Olimpico. Per mister James Ballotta sarà pronto nel 2016; ma in tema di costruzioni si sa, carta non sempre canta. E non cantano nemmeno i cugini laziali, per cui non esiste nemmeno uno schizzo di progetto disegnato a lapis, con Lotito che fa sempre più l’evasivo sulla questione.
Spostiamoci a Firenze, dove la premiata ditta Renzi-Della Valle sembrava aver risolto almeno il nodo del terreno su cui edificare (per chi di Firenze se ne intende, sarà la Mercafir vicino all’aeroporto). Mancano i dettagli, è questione di tempo, ci vuole poco: ho perso il conto di quante volte ho sentito o letto queste parole. Il progetto c’è, ma le ruspe ancora non si muovono. E il Franchi, per quanto ne sia affezionato, è oggettivamente obsoleto: il famoso “formaggino”, settore ospiti, sembra più un recinto per le pecore.
Palermo: Zamparini annunciava nel 2011 un nuovo gioiellino da 35mila posti nella zona dello Zen, sentenziando pure: “Il nome varrà da solo 5 milioni di sponsorizzazione, sarà pronto in soli sei mesi e avrà anche un cinema”. Un bel film, dunque, ma visto alla radio. La casa dei rosanero è ancora il buon vecchio Barbera, più vecchio che buono, e di operai al lavoro nemmeno l’ombra. Siamo alle solite, terraferma o isola che sia.
Anche a Napoli pensano a un nuovo stadio, nonostante il San Paolo tenga botta grazie al calore sempre focoso della sua “torcida”. Il sindaco De Magistris ha sempre sostenuto di “voler chiudere il suo mandato con un nuovo impianto per il Napoli, che sia il San Paolo o una struttura ex-novo”. Il terreno c’è ed è in zona Ponticelli, quello che non torna è che sullo stesso terreno ci sono in progetto un palazzetto dello sport e ulteriori grandi edifici. Fanno uno stadio o un campetto da basket nei giardini comunali? Azzardo un’ipotesi: non era forse meglio buttar giù quelle cavolo di Vele di Scampia per trovare spazio? Avremmo tutti preso i classici due piccioni con una fava, non trovate?
In questo mio lungo post ho dato un occhio ai casi più eclatanti, ma un po’ tutti gli stadi andrebbero ammodernati, San Siro compreso. Un consiglio da tifoso per patron e sindaci nostrani: fate pure il vostro stadio, che sia in centro o a 20 km, che sia “natural” o sintetico, che sia con le poltroncine o gli sgabelli, ma fatelo, fate partire i lavori. Fatelo sicuro e senza troppi fronzoli, fatelo coperto e bello solido, e togliete le barriere, soprattutto quelle architettoniche. Fate promozioni, sconti e convenzioni, soprattutto per famiglie e ragazzi.
E se non basta, andate a casa del lancia cori e levategli la smart card. Dategli un megafono e riportatelo in curva, che per quanto mi riguarda allo stadio sento davvero un silenzio assordante.
@saguresole
Bentornato zio Sagu. Ebbene si, rompo un lunghissimo silenzio stampa tornando a scrivere su questo blog, sperando di focalizzare subito la vostra attenzione su una delle questioni più spinose del nostro malato pallone italico: l’emergenza stadi.
Avrei potuto parlare di caso-stadi, di questione-stadi, ma per me è una vera e propria emergenza. Da nord a sud, da Torino a Lecce, da Trieste a Palermo le nuove star del calcio italiano non sono più i pettinati, cotonati e scapestrati campioni della domenica; le luci della ribalta adesso illuminano sindaci, assessori, presidenti, progettisti, burocrati e chi più ne ha più ne metta. Già, perché il tifoso medio di oggi è sì impegnato a pagare le rate di Mediaset Premium o Sky Calcio, ma in gran segreto segue da vicino le vicende del nuovo stadio, quello che Zamparini quanto Ballotta, Lotito quanto Della Valle, gli hanno promesso a intervalli regolari. Si parla di immensi parcheggi, di centri commerciali e ristoranti sul modello delle “arena” e dei “park” anglo-tedeschi, di capienza allargata e manto erboso sintetico di ultima generazione (ma sappia telo, nonostante l’impatto visivo il campo fangoso di Terza Categoria mi trasmette più emozioni).
Progetti, scartoffie e castelli in aria. Ma quanti davvero hanno realizzato un nuovo impianto nel Belpaese?
Al momento solo le squadre del vecchio Regno di Savoia, Juventus e Cagliari, hanno compiuto il grande passo. Sollevando peraltro molti dubbi per la tenuta strutturale: lo Juventus Stadium è sempre pieno e certamente molto suggestivo, ma pare che la fretta di aprirlo lo abbia reso fragile come un Taralluccio.
E restando in tema di biscotti, “Is Arenas” sembra addirittura un Grancereale, pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. Almeno una cosa l’hanno azzeccata i rossoblu: hanno ridotto i posti a sedere, saggia decisione considerando che i nuovi ultras prediligono il divano alle buone vecchie curve dietro la porta.
Cominciamo dalla capitale, dove la Roma ha da poco annunciato il mega-stadio da 60.000 posti che manderà in pensione l’Olimpico. Per mister James Ballotta sarà pronto nel 2016; ma in tema di costruzioni si sa, carta non sempre canta. E non cantano nemmeno i cugini laziali, per cui non esiste nemmeno uno schizzo di progetto disegnato a lapis, con Lotito che fa sempre più l’evasivo sulla questione.
Spostiamoci a Firenze, dove la premiata ditta Renzi-Della Valle sembrava aver risolto almeno il nodo del terreno su cui edificare (per chi di Firenze se ne intende, sarà la Mercafir vicino all’aeroporto). Mancano i dettagli, è questione di tempo, ci vuole poco: ho perso il conto di quante volte ho sentito o letto queste parole. Il progetto c’è, ma le ruspe ancora non si muovono. E il Franchi, per quanto ne sia affezionato, è oggettivamente obsoleto: il famoso “formaggino”, settore ospiti, sembra più un recinto per le pecore.
Palermo: Zamparini annunciava nel 2011 un nuovo gioiellino da 35mila posti nella zona dello Zen, sentenziando pure: “Il nome varrà da solo 5 milioni di sponsorizzazione, sarà pronto in soli sei mesi e avrà anche un cinema”. Un bel film, dunque, ma visto alla radio. La casa dei rosanero è ancora il buon vecchio Barbera, più vecchio che buono, e di operai al lavoro nemmeno l’ombra. Siamo alle solite, terraferma o isola che sia.
Anche a Napoli pensano a un nuovo stadio, nonostante il San Paolo tenga botta grazie al calore sempre focoso della sua “torcida”. Il sindaco De Magistris ha sempre sostenuto di “voler chiudere il suo mandato con un nuovo impianto per il Napoli, che sia il San Paolo o una struttura ex-novo”. Il terreno c’è ed è in zona Ponticelli, quello che non torna è che sullo stesso terreno ci sono in progetto un palazzetto dello sport e ulteriori grandi edifici. Fanno uno stadio o un campetto da basket nei giardini comunali? Azzardo un’ipotesi: non era forse meglio buttar giù quelle cavolo di Vele di Scampia per trovare spazio? Avremmo tutti preso i classici due piccioni con una fava, non trovate?
In questo mio lungo post ho dato un occhio ai casi più eclatanti, ma un po’ tutti gli stadi andrebbero ammodernati, San Siro compreso. Un consiglio da tifoso per patron e sindaci nostrani: fate pure il vostro stadio, che sia in centro o a 20 km, che sia “natural” o sintetico, che sia con le poltroncine o gli sgabelli, ma fatelo, fate partire i lavori. Fatelo sicuro e senza troppi fronzoli, fatelo coperto e bello solido, e togliete le barriere, soprattutto quelle architettoniche. Fate promozioni, sconti e convenzioni, soprattutto per famiglie e ragazzi.
E se non basta, andate a casa del lancia cori e levategli la smart card. Dategli un megafono e riportatelo in curva, che per quanto mi riguarda allo stadio sento davvero un silenzio assordante.
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domenica 4 novembre 2012
Varie ed eventuali: considerazioni sparse sull' 11^ giornata
L' 11° turno non si è ancora del tutto concluso, mentre scrivo queste righe infatti resta ancora da disputare Roma-Palermo (o Pa-Roma, non lo so), ma mi rifiuto di esprimermi su Zeman, non lo farò mai se non fuori stagione e a boccia ferma, perchè col Boemo non puoi mai sapere, ed i conti, al netto delle 90 reti che incasserà è giusto farli alla fine.
E allora partiamo così senza canovaccio a parlare della giornata di A, scrivendo a braccio, seguendo le impressioni che mi sgorgano spontanee dall' emisfero destro fino alla punta delle dita:
First of all: la Juve ha perso, al di là delle mie simpatie calcistiche è senza dubbio un bene per il campionato, che forse riuscirà a regalarci emozioni legate a scontri al vertice, e sottolinerei che l' Inter ha vinto, nel senso che ha fatto la sua partita, schierandosi con un canovaccio tattico ben preciso: difesa attenta e ripartenze fulminee, c' è chi afferma che sia un Inter "provinciale", più semplicemente l' inter gioca un calcio semplice, senza fronzoli e a dirla tutta anche un po cinico, la stessa ricetta che ha portato a Palazzo Durini il Treble.
Sempre sabato il Milan immola all' altare del Re dei Nani il Chievo come vittima sacrificale, Allegri allo show down mostra una scala (non reale, ma comunque di tutto rispetto) composta da Montolivo, Bojan , Emanuelson, El Sharaawi e Pazzini. Diciamo che Acciuga è salvo fino a che non rimette De Jong.
La Fiorentina schianta il Cagliari nel secondo tempo, e qui permettetemi di dire quanto lavoro ci sia stato da parte di Vincenzo Montella e il suo staff di dimensioni "ministeriali", composto da ben 10 collaboratori, tutti con un ruolo preciso e competenze specifiche e tutti votati a rappresentare sul campo un calcio antico fatto di "se il pallone l' abbiamo noi gli altri non possono segnare" impreziosito da una visione quasi futuristica della preparazione calcistica.
Ma non dilunghiamoci oltre sull' Aeroplanino in direzione Europa, e passiamo al Napoli che concede al Vecchio Cuore Granata il pareggio proprio all' ultimo assalto, gol che porta la firma di Gianluca Sansone che rompe così il ghiaccio in serie A. Ora il Napoli dovrà rimboccarsi le maniche e Mazzarri in prima persona dovrà impegnarsi per non distruggere quanto di buono è stato fatto nella città di Pulcinella, erano l' anti-juve designata mentre ora si guardano allo specchio e non si riconoscono più, sta al tecnico livornese portare prima di tutto certezze in uno degli ambienti più votati all' isteria di tutto il panorama calcistico italiano.
La Lazio si avvicina al derby con un altra sconfitta, stavolta ad opera di un bel Catania.
Lodi dimostra ancora una volta tutta la sua classe dispensando lanci di 40 metri a destra e a sinistra, e mette a segno il primo rigore concesso quest' anno agli Elefanti rossoazzurri, ma quest non è una notizia, la vera notizia è la doppietta del Papu Gomez sempre un po taccagno quando si tratta di segnare.
Genova puzza... di esonero, cosa avete pensato?
Si perchè se Del Neri vanta ancora un po di credito, dopo tutto siamo solo alla sconfitta 3/3, Ciro Ferrara è alla sesta, e dico sesta, sei, six, VI, sconfitta consecutiva, non dico altro, solo che anche la Danone lo ha rinnegato come testimonial. <<Ciro, tropp' buon, ma mo' vedi di vincere jà!>> Ah stavolta a prendere a schiaffi i blucerchiati è l' Atalanta, che dimostra ancora una volta che a Bergamo si mastica calcio.
Vince anche il Pescara ai danni del Parma, e qui mi fa molto piacere per il DS Delli Carri, da sottolineara il talento di Quintero, oggi a dire il vero un po sottotono, e di Perin.
Giusto per dire poi che in Bologna-Udinese hanno segnato Alino Diamanti e Totò Di Natale, niente di nuovo.
That's all Folks!
Io ho finito mentre a voi chiedo chi sono i personaggi di questa 11^ giornata? Chi vi suscita più simpatia o chi odiate?
alla prossima, sincerly yours
Fedde
E allora partiamo così senza canovaccio a parlare della giornata di A, scrivendo a braccio, seguendo le impressioni che mi sgorgano spontanee dall' emisfero destro fino alla punta delle dita:
First of all: la Juve ha perso, al di là delle mie simpatie calcistiche è senza dubbio un bene per il campionato, che forse riuscirà a regalarci emozioni legate a scontri al vertice, e sottolinerei che l' Inter ha vinto, nel senso che ha fatto la sua partita, schierandosi con un canovaccio tattico ben preciso: difesa attenta e ripartenze fulminee, c' è chi afferma che sia un Inter "provinciale", più semplicemente l' inter gioca un calcio semplice, senza fronzoli e a dirla tutta anche un po cinico, la stessa ricetta che ha portato a Palazzo Durini il Treble.
Sempre sabato il Milan immola all' altare del Re dei Nani il Chievo come vittima sacrificale, Allegri allo show down mostra una scala (non reale, ma comunque di tutto rispetto) composta da Montolivo, Bojan , Emanuelson, El Sharaawi e Pazzini. Diciamo che Acciuga è salvo fino a che non rimette De Jong.
La Fiorentina schianta il Cagliari nel secondo tempo, e qui permettetemi di dire quanto lavoro ci sia stato da parte di Vincenzo Montella e il suo staff di dimensioni "ministeriali", composto da ben 10 collaboratori, tutti con un ruolo preciso e competenze specifiche e tutti votati a rappresentare sul campo un calcio antico fatto di "se il pallone l' abbiamo noi gli altri non possono segnare" impreziosito da una visione quasi futuristica della preparazione calcistica.
Ma non dilunghiamoci oltre sull' Aeroplanino in direzione Europa, e passiamo al Napoli che concede al Vecchio Cuore Granata il pareggio proprio all' ultimo assalto, gol che porta la firma di Gianluca Sansone che rompe così il ghiaccio in serie A. Ora il Napoli dovrà rimboccarsi le maniche e Mazzarri in prima persona dovrà impegnarsi per non distruggere quanto di buono è stato fatto nella città di Pulcinella, erano l' anti-juve designata mentre ora si guardano allo specchio e non si riconoscono più, sta al tecnico livornese portare prima di tutto certezze in uno degli ambienti più votati all' isteria di tutto il panorama calcistico italiano.
La Lazio si avvicina al derby con un altra sconfitta, stavolta ad opera di un bel Catania.
Lodi dimostra ancora una volta tutta la sua classe dispensando lanci di 40 metri a destra e a sinistra, e mette a segno il primo rigore concesso quest' anno agli Elefanti rossoazzurri, ma quest non è una notizia, la vera notizia è la doppietta del Papu Gomez sempre un po taccagno quando si tratta di segnare.
Genova puzza... di esonero, cosa avete pensato?
Si perchè se Del Neri vanta ancora un po di credito, dopo tutto siamo solo alla sconfitta 3/3, Ciro Ferrara è alla sesta, e dico sesta, sei, six, VI, sconfitta consecutiva, non dico altro, solo che anche la Danone lo ha rinnegato come testimonial. <<Ciro, tropp' buon, ma mo' vedi di vincere jà!>> Ah stavolta a prendere a schiaffi i blucerchiati è l' Atalanta, che dimostra ancora una volta che a Bergamo si mastica calcio.
Vince anche il Pescara ai danni del Parma, e qui mi fa molto piacere per il DS Delli Carri, da sottolineara il talento di Quintero, oggi a dire il vero un po sottotono, e di Perin.
Giusto per dire poi che in Bologna-Udinese hanno segnato Alino Diamanti e Totò Di Natale, niente di nuovo.
That's all Folks!
Io ho finito mentre a voi chiedo chi sono i personaggi di questa 11^ giornata? Chi vi suscita più simpatia o chi odiate?
alla prossima, sincerly yours
Fedde
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mercoledì 19 settembre 2012
Colpi di tacco, birre e sigarette e i caldi pomeriggi a parlare di politica
Socrates Brasileiro Vieira Sampaio etc etc., insomma Socrates, per gli amici o Doutor.
Socrates era un uomo diverso. Era completamente diverso dal resto del Brasile. Per Socrates il calcio non era la cosa più importante del mondo.
Pausa scenica per fare in modo che capiate l' entità di questa frase.
Socrates era un lungagnone di 1 e 93 allampanato e con un piedino minuscolo (38 ma c' è chi dice 37) ma sul quale Eupalla aveva dato un bacione grande così.
Tirato su a pane (poco) e cultura (tanta) in quel di Riberao Preto, un paesone dell' interno dello stato di Sao Paulo, alternava gli allenamenti con la squadra locale il Botafogo, ma non quello famoso di Rio bensì l' altro, e le lezioni all 'università.
Sì perchè "Crates" voleva diventare medico, più precisamente pediatra.
In quattro anni segna una caterva di gol attirando le attenzioni dei club più importanti del paese, ma fa il grande salto solo dopo aver conseguito la laurea.
Tra il '78 e l' 84 in 300 partite segna 172 gol con la maglia del Corinthians ma soprattutto diventa il simbolo della DEMOCRACIA CORINTHIANA.
Stiamo parlando degli ultimi anni di una pesante dittatura militare e tutto il Brasile era pervaso da un nuovo spirito democratico rappresentato magistralmente dall' autogestione del Corinthians: tutte le decisioni venivano prese per votazione e tutti i voti avevano pari dignità da quello dei dirigenti fino all' ultimo dei magazzinieri.
Il loro motto era VINCERE O PERDERE, MA SEMPRE CON DEMOCRAZIA.
Sembra incredibile ma questa pazzia funzionò e non solo sul campo, infatti il Timao vinse due titoli Paulistas consecutivi, ma soprattutto riuscirono a risanare i conti del club.
Si fecero portatori dei valori democratici che il popolo brasiliano rivendicava e prima ancora che le maglie storiche dei club venissero profanate con scritte pubblicitarie in nome di un dio chiamato denaro, il Timao usò le proprie come veicolo per quei valori rivoluzionari scrivendo sulla propria divisa la parola DEMOCRACIA.
E' in questo periodo che la figura di Socrates assunse contorni leggendari, egli non era un atleta, era principalmente un uomo politico che usava un talento calcistico smisurato per propagandare il suo pensiero.
E il popolo lo amava, gli venne assegnato quello che probabilmente è il soprannome più bello di sempre: o carcanhar que a bola quediu a Deus, il colpo di tacco che la palla chiese a Dio. Pura poesia carioca, quel misto di allegria e nostalgia che solo la lingua portoghese può trasmettere.
Dopo l' esperienza al Corinthians si trasferì in Europa, nella magnifica Firenze di Antognoni.
Ma non ebbe la stessa fortuna che trovò a casa. Il nostro calcio non lo ha mai capito e neanche lui ha mai capito noi.
Colpi di tacco, birra e sigarette, l' ordine sceglietelo voi, ma comunque un uomo straordinario che una volta appese le scarpe al chiodo si dedicò alla medicina ed esercitò come pediatra.
E' vero che non venne mai pienamente apprezzato come calciatore a Firenze ma restò comunque l' impressione di aver avuto a che fare con un uomo fuori dal comune. Quando si spense il 4 dicembre 2011 laggiù dall' altra parte del mondo, qui a Firenze pioveva e per uno strano scherzo del destino molti di noi erano allo stadio, sotto una pioggia insistente si levarono migliaia di pugni chiusi verso il maxischermo che raffigurava il dottor Socrates e in un abbraccio silenzioso sussurrammo fra noi: Obrigado Doutor...
Fedde
Socrates era un uomo diverso. Era completamente diverso dal resto del Brasile. Per Socrates il calcio non era la cosa più importante del mondo.
Pausa scenica per fare in modo che capiate l' entità di questa frase.
Socrates era un lungagnone di 1 e 93 allampanato e con un piedino minuscolo (38 ma c' è chi dice 37) ma sul quale Eupalla aveva dato un bacione grande così.
Tirato su a pane (poco) e cultura (tanta) in quel di Riberao Preto, un paesone dell' interno dello stato di Sao Paulo, alternava gli allenamenti con la squadra locale il Botafogo, ma non quello famoso di Rio bensì l' altro, e le lezioni all 'università.
Sì perchè "Crates" voleva diventare medico, più precisamente pediatra.
In quattro anni segna una caterva di gol attirando le attenzioni dei club più importanti del paese, ma fa il grande salto solo dopo aver conseguito la laurea.
Tra il '78 e l' 84 in 300 partite segna 172 gol con la maglia del Corinthians ma soprattutto diventa il simbolo della DEMOCRACIA CORINTHIANA.
Stiamo parlando degli ultimi anni di una pesante dittatura militare e tutto il Brasile era pervaso da un nuovo spirito democratico rappresentato magistralmente dall' autogestione del Corinthians: tutte le decisioni venivano prese per votazione e tutti i voti avevano pari dignità da quello dei dirigenti fino all' ultimo dei magazzinieri.
Il loro motto era VINCERE O PERDERE, MA SEMPRE CON DEMOCRAZIA.
Sembra incredibile ma questa pazzia funzionò e non solo sul campo, infatti il Timao vinse due titoli Paulistas consecutivi, ma soprattutto riuscirono a risanare i conti del club.
Si fecero portatori dei valori democratici che il popolo brasiliano rivendicava e prima ancora che le maglie storiche dei club venissero profanate con scritte pubblicitarie in nome di un dio chiamato denaro, il Timao usò le proprie come veicolo per quei valori rivoluzionari scrivendo sulla propria divisa la parola DEMOCRACIA.
E' in questo periodo che la figura di Socrates assunse contorni leggendari, egli non era un atleta, era principalmente un uomo politico che usava un talento calcistico smisurato per propagandare il suo pensiero.
E il popolo lo amava, gli venne assegnato quello che probabilmente è il soprannome più bello di sempre: o carcanhar que a bola quediu a Deus, il colpo di tacco che la palla chiese a Dio. Pura poesia carioca, quel misto di allegria e nostalgia che solo la lingua portoghese può trasmettere.
Dopo l' esperienza al Corinthians si trasferì in Europa, nella magnifica Firenze di Antognoni.
Ma non ebbe la stessa fortuna che trovò a casa. Il nostro calcio non lo ha mai capito e neanche lui ha mai capito noi.
Colpi di tacco, birra e sigarette, l' ordine sceglietelo voi, ma comunque un uomo straordinario che una volta appese le scarpe al chiodo si dedicò alla medicina ed esercitò come pediatra.
E' vero che non venne mai pienamente apprezzato come calciatore a Firenze ma restò comunque l' impressione di aver avuto a che fare con un uomo fuori dal comune. Quando si spense il 4 dicembre 2011 laggiù dall' altra parte del mondo, qui a Firenze pioveva e per uno strano scherzo del destino molti di noi erano allo stadio, sotto una pioggia insistente si levarono migliaia di pugni chiusi verso il maxischermo che raffigurava il dottor Socrates e in un abbraccio silenzioso sussurrammo fra noi: Obrigado Doutor...
Fedde
Maurizio Zamparini, il presidente con la E maiuscola
Lo chiamavano il “mangia-allenatori”: tutte le malefatte del sergente alla guida del Palermo calcio
Troppo facile parlare in questo post-campionato del ritorno al gol di Luca Toni con la Fiorentina, del primo sigillo in A dello “scugnizzo” Insigne o dell’ennesimo rigore concesso ad una squadra a strisce verticali di cui mi sfugge il nome. Ben più difficile è spiegare l’ennesima impresa (si fa per dire) di uno dei più controversi e imprevedibili presidenti che il nostro calcio abbia mai avuto. Ebbene sì, Maurizio Zamparini ci è cascato di nuovo: un altro esonero, stavolta dopo 270’. Olè.
E’ andata certamente meglio al buon Giuseppe Sannino rispetto allo Stefano Pioli che lo scorso anno aveva aperto il valzer degli allenatori sulla panchina del “Barbera”. Il tecnico di Ottaviano quantomeno ha avuto la chance, seppur breve, di farsi amare o odiare dalla torcida palermitana; Pioli, che ora allena con discreto successo il Bologna, non ebbe nemmeno il tempo di disfare le valigie nella sua nuova casa a Palermo che già doveva rifarle e riconsegnare le chiavi al padrone di casa. Chissà che urlacci si sarà preso dalla moglie, poveraccio….
Vulcanico e capriccioso, lo definiscono così lo “Zampa”. A leggere la sua scheda su Wikipedia, io invece credo che sia molto coerente. Friulano di nascita e imprenditore per vocazione, quando non siede nelle tribune di Serie A fumando sigari e flirtando per telefono con allenatori in cerca di panchina, Zamparini fonda o compra aziende e centri commerciali per poi rivenderli al miglior offerente. E’ abituato a rimpiazzare e sostituire, lo fa da una vita e per coerenza assume e licenzia allenatori esattamente come nel suo lavoro. Democratico, non trovate?
Ma perché con Zamparini presidente gli allenatori durano così poco? Semplice, perché Zamparini ha sbagliato mestiere. Avrebbe dovuto fare il politico, è tagliato per farlo (e per poco non ci è riuscito di recente): fa promesse che poi non sa mantenere, esattamente come i signori che ci rappresentano in Parlamento. Da presidente si fa le ossa a Pordenone per poi acquisire il controllo del Venezia a un passo dal (primo) fallimento nel 1986. Porta i lagunari in Serie A, promette di rifare lo stadio, forse anche l’Europa, ma poi alla prima occasione smantella tutto e se ne va al Palermo nel 2002, lasciando i veneti con pochi spiccioli e la consapevolezza di dover ricominciare tutto da capo.
In Sicilia il friulano Zamparini progetta la squadra per collezionare trofei, e invece continua a fare collezione di esoneri. Ben 40 i tecnici licenziati in 24 anni di presidenza, dal 1988 ad oggi, da Giovan Battista Fabbri a Sannino passando per nomi illustri della panchina all’italiana come Spalletti, Zaccheroni, Prandelli e Guidolin. Il record in una sola stagione? Nel 1994/95, in Serie B, quando alla guida del Venezia si alternano in quattro: Maifredi, Ventura, Rossi e Geretto in due occasioni. Chapeau.
Zamparini è una moderna maga Circe, c’è poco da fare: seduce gli allenatori, li ammalia, li convince, se ne innamora e poi li scarica, in tempi sempre più brevi. Se tanto mi dà tanto, chissà quanto ci mette a cambiare il giardiniere di casa. Da cosa deriva tanta impazienza? Forse il potere ha mandato in corto i neuroni del Maurizione nazionale che è ora affetto da deficienza senile? Macchè, è solo sintomo di insicurezza e di presunzione, nonchè di infantilità. Zamparini non sa perdere, non vuole perdere, è ancora bambino nell’anima, considera la squadra che presiede e il mister che la allena come giocattoli con cui divertirsi nel fine settimana. Come fanno i bambini? Giocano con un balocco per due minuti e poi lo lanciano via per pescarne un altro dal cesto. Già, a Zamparini manca solo il ciuccio e poi ci siamo.
Chiudo questo pezzo con un appello al signor Gasperini, neo-tecnico del Palermo, il 41mo della lunga lista di Zamparini. Pier, perdonami se ti do del tu, ma voglio darti un consiglio: portati lo stretto necessario in valigia e non vendere la casa dove abiti ora; il perché lo capirai da solo, spero per te il più tardi possibile. Auguri.
Simone Sagulo
@SaguReSole
Credits: si ringrazia per la foto di Zampa i cari ragazzi di www.calciopazzi.it, sito molto divertente ed aggiornato
venerdì 7 settembre 2012
ITALIANS DO IT BETTER
mind the wallabies Alex
Com’ è bizzarro il nostro Belpaese. Da anni ormai la produzione e in
generale gli affari interni in Italia vanno a picco, rasentando la disperazione
più totale. Le industrie chiudono, le aziende falliscono, i sindacati lottano e
i politici gongolano. Eppure se consideriamo le esportazioni, il Made in Italy
regge anche al tempo della crisi. Anzi, spopola.
Pasta, pizza, vino, parmigiano, arance di Sicilia, Ferrari, Tod’s: la lista di
brand e “pezzi da 90” che vantano innumerevoli tentativi di imitazione è lunga
come un Rotolone Regina. E’ soprattutto l’Oriente, e in particolare il popolo
degli occhi a mandorla che, come uno scolaro imbranato allunga l’occhio per
copiare il compito del compagno secchione, cerca di imitarci. Da un po’ di
tempo a questa parte, anche nel calcio lo stile italiano è molto apprezzato.
Anzi, riscoperto possiamo dire.
Già, perché se la mia memoria e Wikipedia non mi ingannano il primo calciatore
italiano a calcare i campi di calcio oltre la dogana fu Giorgio Chinaglia che
nel 1976 fece la valigia col dizionario di inglese dentro e salutò tutti per
andare a giocare a New York, sponda Cosmos. Da Chinaglia a Del Piero, ne sono
passati di tifosi sugli spalti, eppure e specialmente negli ultimi anni i
calciatori nostrani, giunti alle porte del pensionamento da vecchiaia, emigrano
con o senza famiglia al seguito in cerca di nuovi trofei da vincere e,
ovviamente, soldi da mettere sul già ricco conto in banca.
Un tempo era l’America la meta preferita di attaccanti e difensori over 35, poi
nelle primissime stagioni del Terzo Millennio gli sceicchi medio-orientali e i
loro petroldollari hanno cercato di attirare funambolici giocolieri del pallone
per far gioire i loro sudditi. E’ il caso, per esempio, di Fabio Cannavaro che
nel 2010 lascia la Penisola per firmare un contratto da capogiro con l’Al-Ahli,
Emirati Arabi Uniti, campionato che non ha certo la risonanza della Serie A ma
che certamente offre linee di credito pressochè illimitate.
Poi è arrivata la Cina, l’immensa Cina, che ha vinto tutto ciò che c’era da
vincere negli altri sport, ma che col pallone tra i piedi non ci ha mai capito
molto. E continua a non capirci granchè: il colpo è stato portare prima la
Supercoppa Italiana a Pechino, poi un allenatore campione del mondo come
Marcello Lippi a sedere sulla panchina del Guangzhou Evergrande, ma se proprio
dovevano rubarci i giocatori potevano trovare qualcosa di meglio rispetto a
Firmani e Liverani. In ogni caso i luccicanti arrivi di Drogba e Anelka
mostrano segnali di risveglio e interesse del popolo cinese verso il calcio,
europeo in particolare, e la colonia di italiani in Cina non farà altro che
espandersi.
Le novità sono sicuramente Canada e Australia, tralasciando la Svizzera che per
ovvi motivi di vicinanza qualche calciatore biancorossoverde se lo porta via.
Nesta, Corradi e più recentemente Di Vaio si sono costruiti una seconda vita
calcistica nella Nazione della foglia d’acero, da sempre impegnata a cercare di
sorpassare gli odiati cugini americani che a forza di dollari hanno impreziosito
e non poco la loro Major League Soccer altrimenti quasi amatoriale. I “canguri”
invece con l’accoglienza da re che stanno riservando ad Alessandro Del Piero,
fresco di firma col Sydney FC, sperano di attirare ben presto altri calciatori
del nostro Paese che vogliono incantare le platee poste a una decina di ore di
fuso orario in cambio di lauti stipendi e regalini vari alle mogli che
rimpiangono il Belpaese.
Un campanello d’allarme per la nostra Serie A? Tutt’altro, direi piuttosto che
gli investimenti dei Paesi in via di sviluppo calcistico sono per noi
un’opportunità. Se non altro chi se ne va ha già dato tutto o quasi, e in
assenza di ricchi portafogli, i d.s. italiani saranno costretti una buona volta
a dare un’occhiata in più ai nostri vivai. E poi se i nostri ex-campioni sono
richiestissimi, un motivo ci sarà no? Scusami Madonna se ti rubo di nuovo la
citazione ma è proprio vero: Italians do it better.
Simone Sagulo
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