mercoledì 19 settembre 2012

Colpi di tacco, birre e sigarette e i caldi pomeriggi a parlare di politica

Socrates Brasileiro Vieira Sampaio etc etc., insomma Socrates, per gli amici o Doutor.
Socrates era un uomo diverso. Era completamente diverso dal resto del Brasile. Per Socrates il calcio non era la cosa più importante del mondo.
Pausa scenica per fare in modo che capiate l' entità di questa frase.
Socrates era un lungagnone di 1 e 93 allampanato e con un piedino minuscolo (38 ma c' è chi dice 37) ma sul quale Eupalla aveva dato un bacione grande così.
Tirato su a pane (poco) e cultura (tanta) in quel di Riberao Preto, un paesone dell' interno dello stato di Sao Paulo, alternava gli allenamenti con la squadra locale il Botafogo, ma non quello famoso di Rio bensì l' altro, e le lezioni all 'università.
Sì perchè "Crates" voleva diventare medico, più precisamente pediatra.
In quattro anni segna una caterva di gol attirando le attenzioni dei club più importanti del paese, ma fa il grande salto solo dopo aver conseguito la laurea.
Tra il '78 e l' 84 in 300 partite segna 172 gol con la maglia del Corinthians ma soprattutto diventa il simbolo della DEMOCRACIA CORINTHIANA.
Stiamo parlando degli ultimi anni di una pesante dittatura militare e tutto il Brasile era pervaso da un nuovo spirito democratico rappresentato magistralmente dall' autogestione del Corinthians: tutte le decisioni venivano prese per votazione e tutti i voti avevano pari dignità da quello dei dirigenti fino all' ultimo dei magazzinieri.
Il loro motto era VINCERE O PERDERE, MA SEMPRE CON DEMOCRAZIA.
Sembra incredibile ma questa pazzia funzionò e non solo sul campo, infatti il Timao vinse due titoli Paulistas consecutivi, ma soprattutto riuscirono a risanare i conti del club.
Si fecero portatori dei valori democratici che il popolo brasiliano rivendicava e prima ancora che le maglie storiche dei club venissero profanate con scritte pubblicitarie in nome di un dio chiamato denaro, il Timao usò le proprie come veicolo per quei valori rivoluzionari scrivendo sulla propria divisa la parola DEMOCRACIA.
E' in questo periodo che la figura di Socrates assunse contorni leggendari, egli non  era un atleta, era principalmente un uomo politico  che usava un talento calcistico smisurato per propagandare il suo pensiero.
E il popolo lo amava, gli venne assegnato quello che probabilmente è il soprannome più bello di sempre: o carcanhar que a bola quediu a Deus, il colpo di tacco che la palla chiese a Dio. Pura poesia carioca, quel misto di allegria e nostalgia che solo la lingua portoghese può trasmettere.
Dopo l' esperienza al Corinthians si trasferì in Europa, nella magnifica Firenze di Antognoni.
Ma non ebbe la stessa fortuna che trovò a casa. Il nostro calcio non lo ha mai capito e neanche lui ha mai capito noi.
Colpi di tacco, birra e sigarette, l' ordine sceglietelo voi, ma comunque un uomo straordinario che una volta appese le scarpe al chiodo si dedicò alla medicina ed esercitò come pediatra.
E' vero che non venne mai pienamente apprezzato come calciatore a Firenze ma restò comunque l' impressione di aver avuto a che fare con un uomo fuori dal comune. Quando si spense il 4 dicembre 2011 laggiù dall' altra parte del mondo, qui a Firenze pioveva e per uno strano scherzo del destino molti di noi erano allo stadio, sotto una pioggia insistente si levarono migliaia di pugni chiusi verso il maxischermo che raffigurava il dottor Socrates e in un abbraccio silenzioso sussurrammo fra noi: Obrigado Doutor...
Fedde

Maurizio Zamparini, il presidente con la E maiuscola

Lo chiamavano il “mangia-allenatori”: tutte le malefatte del sergente alla guida del Palermo calcio






Troppo facile parlare in questo post-campionato del ritorno al gol di Luca Toni con la Fiorentina, del primo sigillo in A dello “scugnizzo” Insigne o dell’ennesimo rigore concesso ad una squadra a strisce verticali di cui mi sfugge il nome. Ben più difficile è spiegare l’ennesima impresa (si fa per dire) di uno dei più controversi e imprevedibili presidenti che il nostro calcio abbia mai avuto. Ebbene sì, Maurizio Zamparini ci è cascato di nuovo: un altro esonero, stavolta dopo 270’. Olè.
E’ andata certamente meglio al buon Giuseppe Sannino rispetto allo Stefano Pioli che lo scorso anno aveva aperto il valzer degli allenatori sulla panchina del “Barbera”. Il tecnico di Ottaviano quantomeno ha avuto la chance, seppur breve, di farsi amare o odiare dalla torcida palermitana; Pioli, che ora allena con discreto successo il Bologna, non ebbe nemmeno il tempo di disfare le valigie nella sua nuova casa a Palermo che già doveva rifarle e riconsegnare le chiavi al padrone di casa. Chissà che urlacci si sarà preso dalla moglie, poveraccio….
Vulcanico e capriccioso, lo definiscono così lo “Zampa”. A leggere la sua scheda su Wikipedia, io invece credo che sia molto coerente. Friulano di nascita e imprenditore per vocazione, quando non siede nelle tribune di Serie A fumando sigari e flirtando per telefono con allenatori in cerca di panchina, Zamparini fonda o compra aziende e centri commerciali per poi rivenderli al miglior offerente. E’ abituato a rimpiazzare e sostituire, lo fa da una vita e per coerenza assume e licenzia allenatori esattamente come nel suo lavoro. Democratico, non trovate?
Ma perché con Zamparini presidente gli allenatori durano così poco? Semplice, perché Zamparini ha sbagliato mestiere. Avrebbe dovuto fare il politico, è tagliato per farlo (e per poco non ci è riuscito di recente): fa promesse che poi non sa mantenere, esattamente come i signori che ci rappresentano in Parlamento. Da presidente si fa le ossa a Pordenone per poi acquisire il controllo del Venezia a un passo dal (primo) fallimento nel 1986. Porta i lagunari in Serie A, promette di rifare lo stadio, forse anche l’Europa, ma poi alla prima occasione smantella tutto e se ne va al Palermo nel 2002, lasciando i veneti con pochi spiccioli e la consapevolezza di dover ricominciare tutto da capo.
In Sicilia il friulano Zamparini progetta la squadra per collezionare trofei, e invece continua a fare collezione di esoneri. Ben 40 i tecnici licenziati in 24 anni di presidenza, dal 1988 ad oggi, da Giovan Battista Fabbri a Sannino passando per nomi illustri della panchina all’italiana come Spalletti, Zaccheroni, Prandelli e Guidolin. Il record in una sola stagione? Nel 1994/95, in Serie B, quando alla guida del Venezia si alternano in quattro: Maifredi, Ventura, Rossi e Geretto in due occasioni. Chapeau.
Zamparini è una moderna maga Circe, c’è poco da fare: seduce gli allenatori, li ammalia, li convince, se ne innamora e poi li scarica, in tempi sempre più brevi. Se tanto mi dà tanto, chissà quanto ci mette a cambiare il giardiniere di casa. Da cosa deriva tanta impazienza? Forse il potere ha mandato in corto i neuroni del Maurizione nazionale che è ora affetto da deficienza senile? Macchè, è solo sintomo di insicurezza e di presunzione, nonchè di infantilità. Zamparini non sa perdere, non vuole perdere, è ancora bambino nell’anima, considera la squadra che presiede e il mister che la allena come giocattoli con cui divertirsi nel fine settimana. Come fanno i bambini? Giocano con un balocco per due minuti e poi lo lanciano via per pescarne un altro dal cesto. Già, a Zamparini manca solo il ciuccio e poi ci siamo.
Chiudo questo pezzo con un appello al signor Gasperini, neo-tecnico del Palermo, il 41mo della lunga lista di Zamparini. Pier, perdonami se ti do del tu, ma voglio darti un consiglio: portati lo stretto necessario in valigia e non vendere la casa dove abiti ora; il perché lo capirai da solo, spero per te il più tardi possibile. Auguri.
Simone Sagulo

@SaguReSole
Credits: si ringrazia per la foto di Zampa i cari ragazzi di www.calciopazzi.it, sito molto divertente ed aggiornato

venerdì 7 settembre 2012

ITALIANS DO IT BETTER

mind the wallabies Alex
Com’ è bizzarro il nostro Belpaese. Da anni ormai la produzione e in generale gli affari interni in Italia vanno a picco, rasentando la disperazione più totale. Le industrie chiudono, le aziende falliscono, i sindacati lottano e i politici gongolano. Eppure se consideriamo le esportazioni, il Made in Italy regge anche al tempo della crisi. Anzi, spopola. 
Pasta, pizza, vino, parmigiano, arance di Sicilia, Ferrari, Tod’s: la lista di brand e “pezzi da 90” che vantano innumerevoli tentativi di imitazione è lunga come un Rotolone Regina. E’ soprattutto l’Oriente, e in particolare il popolo degli occhi a mandorla che, come uno scolaro imbranato allunga l’occhio per copiare il compito del compagno secchione, cerca di imitarci. Da un po’ di tempo a questa parte, anche nel calcio lo stile italiano è molto apprezzato. Anzi, riscoperto possiamo dire.
Già, perché se la mia memoria e Wikipedia non mi ingannano il primo calciatore italiano a calcare i campi di calcio oltre la dogana fu Giorgio Chinaglia che nel 1976 fece la valigia col dizionario di inglese dentro e salutò tutti per andare a giocare a New York, sponda Cosmos. Da Chinaglia a Del Piero, ne sono passati di tifosi sugli spalti, eppure e specialmente negli ultimi anni i calciatori nostrani, giunti alle porte del pensionamento da vecchiaia, emigrano con o senza famiglia al seguito in cerca di nuovi trofei da vincere e, ovviamente, soldi da mettere sul già ricco conto in banca. 
Un tempo era l’America la meta preferita di attaccanti e difensori over 35, poi nelle primissime stagioni del Terzo Millennio gli sceicchi medio-orientali e i loro petroldollari hanno cercato di attirare funambolici giocolieri del pallone per far gioire i loro sudditi. E’ il caso, per esempio, di Fabio Cannavaro che nel 2010 lascia la Penisola per firmare un contratto da capogiro con l’Al-Ahli, Emirati Arabi Uniti, campionato che non ha certo la risonanza della Serie A ma che certamente offre linee di credito pressochè illimitate. 
Poi è arrivata la Cina, l’immensa Cina, che ha vinto tutto ciò che c’era da vincere negli altri sport, ma che col pallone tra i piedi non ci ha mai capito molto. E continua a non capirci granchè: il colpo è stato portare prima la Supercoppa Italiana a Pechino, poi un allenatore campione del mondo come Marcello Lippi a sedere sulla panchina del Guangzhou Evergrande, ma se proprio dovevano rubarci i giocatori potevano trovare qualcosa di meglio rispetto a Firmani e Liverani. In ogni caso i luccicanti arrivi di Drogba e Anelka mostrano segnali di risveglio e interesse del popolo cinese verso il calcio, europeo in particolare, e la colonia di italiani in Cina non farà altro che espandersi. 
Le novità sono sicuramente Canada e Australia, tralasciando la Svizzera che per ovvi motivi di vicinanza qualche calciatore biancorossoverde se lo porta via. Nesta, Corradi e più recentemente Di Vaio si sono costruiti una seconda vita calcistica nella Nazione della foglia d’acero, da sempre impegnata a cercare di sorpassare gli odiati cugini americani che a forza di dollari hanno impreziosito e non poco la loro Major League Soccer altrimenti quasi amatoriale. I “canguri” invece con l’accoglienza da re che stanno riservando ad Alessandro Del Piero, fresco di firma col Sydney FC, sperano di attirare ben presto altri calciatori del nostro Paese che vogliono incantare le platee poste a una decina di ore di fuso orario in cambio di lauti stipendi e regalini vari alle mogli che rimpiangono il Belpaese.
Un campanello d’allarme per la nostra Serie A? Tutt’altro, direi piuttosto che gli investimenti dei Paesi in via di sviluppo calcistico sono per noi un’opportunità. Se non altro chi se ne va ha già dato tutto o quasi, e in assenza di ricchi portafogli, i d.s. italiani saranno costretti una buona volta a dare un’occhiata in più ai nostri vivai. E poi se i nostri ex-campioni sono richiestissimi, un motivo ci sarà no? Scusami Madonna se ti rubo di nuovo la citazione ma è proprio vero: Italians do it better. 
Simone Sagulo

Il mio amico Eric

Devi giocare contro l' idea di perdere
Éric Daniel Pierre Cantona nacque a Marsiglia il 24 maggio di 46 anni fa. Non lo so con certezza, ma credo proprio che fosse una notte buia e tempestosa a giudicare da ciò che ha fatto e ciò che ha rappresentato per il calcio. 
Ora, per capire con che personaggio abbiamo a che fare sappiate che il padre era di origini sarde e la madre di origini catalane.  Non gli metti i piedi in testa a uno con cotanto retaggio genetico. 
Fece il primo assaggio di calcio dei grandi  con l' Auxerre, griffando con un gol di tacco il suo esordio, aveva 16 anni. Nell' 84 si dovette fermare per rispondere alla chiamata al servizio di leva tornando all 'Auxerre solo nell' 86. Nell' 88 vince il campionato europeo U21 con i galletti guadagnandosi la chiamata dell' Olympique Marseille. Dopo la prima partita amichevole la società lo sospese per un mese per aver gettato la maglia dopo essere stato sostituito ( Balotelli, giocatori del Genoa, Ibrahimovic prendete nota). Giusto il tempo di rientrare per essere sospeso dalle competizioni internazionali per aver insultato l' allora cittì durante un tv-show. Non lo sopportava più nessuno e fu costretto ad emigrare in prestito al Bordeaux, eppoi Montepellier. Bella esperienza quella in Linguadoca, la si ricorda soprattutto per un favoloso calcio al volto del compagno  Jean-Claude Lemoult, il quale è citato su wikipedia solo per questo,  riuscì a non farsi buttare fuori squadra grazie all' appoggio di 2 senatori quali Blanc (okkey) e Valderrama ( ma ve lo figuarate Valderrama che difende Cantona?). Fatto sta che il Montpellier con Cantona in squadra vinse la coppa di Francia, magari è un caso. 

Tant'è che il Marsiglia se lo riprende l' anno dopo, se lo tiene un anno eppoi lo riscarica al Nimes. E qui ci troviamo di fronte alla grandezza del personaggio. Durante un match del dicembre '91 l' arbitro non ne azzecca una, almeno a sentire il buon Eric, che per la stizza lo colpisce con una pallonata. La federazione lo squalificó per un mese, Cantona li definisce pubblicamente  idioti, beccandosi altri 2 mesi, a quel punto si incazza e dice " ah si? E allora io smetto, vado a dipingere!". E così fu: si diede all' arte, ci volle Platini in persona per farlo ricominciare. 
Ovvio che in Francia non era aria per cui attraversó la Manica ed abbracció la perfida Albione. Non che lì fosse particolarmente più facile. Platini lo propose al Liverpool, l' allora tecnico dei reds Graeme Souness rispose " si forte 'sto ragazzo non c' è che dire, ma... Mi distrugge lo spogliatoio, è un piantagrane coi giornalisti. Io non lo voglio." 
Così Eric fece un provino con Sheffield Wednesday ( ma che nome è?), l' allenatore Travor Francis gli offrì un secondo provino. Trevor non ci siamo. Cantona per dispetto firma per il Leeds. E qui diventa un leader, vincono il campionato, ma soprattutto the King segna una tripletta in finale di Charity Shield contro il Liverpool. Mica male il piantagrane. Lo preleva all' inizio della stagione  seguente il Manchester United. E qui si consolida la leggenda, diventa l' incontrastato the King Eric, idolo di Old Trafford.

 Fra il 92 e il 97 lo United vince 4 campionati e l' unico che non vince è quello del 93/94, quando Eric si prende un po di ferie, forzate. Partitaccia contro il Crystal Palace, dopo un fallo neanche troppo clamoroso Cantona colpisce con un calcio l'avversario reo di averlo trattenuto, l' espulsione è sacrosanta. Durante il tragitto che lo conduce agli spogliatoi un tifoso dagli spalti, tale Matthew Simmons, ebbe la folle idea di urlare al mio amico Eric qualcosa sulla sodomia e sulla madre, gesto tecnico spettacolare di Eric che salta in tribuna e colpisce con un calcio al volto il maleducato spettatore. Quel giorno il bollettino del Selhurst Park riportó 13000 spettatori paganti meno uno. 
Si beccó 9 mesi di squalifica, e una condanna ai servizi sociali di ben 120 ore. Il tifoso invece venne scarcerato 24 ore dopo. 
Qualche giorno dopo Cantona organizzó una conferenza stampa. Sala gremita, giornalisti letteralmente assiepati l' uno sopra l' altro, Eric scuro in volto si siede, si avvicina al microfono e : "quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine". Il re ha parlato. 
Vi furono molte polemiche circa la permanenza in squadra di Cantona, ma fatto sta che sir Alex Ferguson lo convinse a restare, e con Eric in campo vinsero tutto in Inghilterra. 

In patria Cantona non è amato come in Inghilterra, e lui stesso ha dichiarato più volte di sentirsi più inglese che francese. È stato anche un allenatore e giocatore di beach soccer.
Ma soprattutto si è donato all' arte ed è diventato un attore, ultimamente riscuote discreto successo come attore teatrale. Attualmente è il direttore sportivo dei NY Cosmos. 
Personaggio controverso e anarchico, nel 2010 si fece promotore di una crociata contro le banche francesi invitando i connazionali a ritirare tutti i propri risparmi, fu un flop clamoroso. 
Resta comunque un personaggio importante per il mondo del calcio, che con il suo modo di pensare e giocare ha ispirato i calciatori a seguire e ha dato un calcio alla definizione di calciatore buono solo a prendere soldi. Giusta o sbagliata che fosse Cantona ha sempre preso un posizione, la sua, sempre col colletto della maglia alzato.
I' m not a man, I' m Eric Cantona.
Au revoir!

Uomini che corrono in mutande dietro a un pallone

Apro oggi una rubrica che cercherò di curare a cadenza settimanale intitolata "uomini che corrono in mutande dietro a un pallone". Ho sentito il bisogno di aprire questo tipo di rubrica per celebrare quelli che sono i grandi personaggi, i grandi uomini del mondo del pallone. 
Troverete in queste righe le storie dei personaggi più disparati e che in qualche modo ho ritenuto interessanti o degni di nota.
Il primo ad ottenere l' onore di un articolo in questa rubrica è Eric Cantona. Stay tuned.
Fedde

giovedì 6 settembre 2012

Ohi che strizzoni...

Ladies and gentleman il re vuole cambiare regno.
Il re è cristiano Ronaldo e il regno che non vuole più è quello di Castiglia. Dopo aver segnato una doppietta  e aver condotto il Real alla vittoria per 3a 0 contro il getafe, ha dichiarato in mixed zone di essere triste al Real e di voler essere ceduto. Apriti cielo. Si è scatenata la bagarre mediatica su tali dichiarazioni e le conseguenti illazioni sulle cause di questo "mal di pancia". Che è un modo di dire odioso all'ennesima potenza. Secondo As, quotidiano sportivo madrileno e madridista, tutto ha una soluzione. Ovviamente la soluzione consisterebbe in un adeguamento economico dell' asso portoghese. signori, non è così semplice ne così automatico questo step della relazione d' amore fra le merengues e ronaldo. Perché Ronaldo non guadagna poco, ma più che per motivi etici fiorentino perez è restio a alzare il salario di Ronaldo per biechi motivi economici. Mettiamoci nei panni del commercialista di Florentino: Ronaldo attualmente guadagna qualcosa meno di 10 mln di € l' anno costando al club 12,4mln. A causa dell' abolizione della legge Beckham l' anno prossimo passerà ad una tassazione del 43% cosicché Florentino dovrà sborsare 14,3 mln per le gesta dell' impomatato fenomeno lusitano, che come se non bastasse si dice voglia un " adeguamento" del contratto a 15 mln netti. Che poi adeguandolo a cosa non si sa. Ad onor del vero, c' è chi afferma che il ragazzo sarebbe in rotta con la dirigenza poiché non è stato autorizzato a recarsi in Portogallo per l' anniversari della morte del padre. Sappiamo tutti che è una boiata pazzesca. Ogni calciatore del livello di ronaldo ha un jet privato e che il lunedì hanno la giornata libera e che quindi non avrebbe avuto problemi a recarsi a madeira un altro giorno. Staremo a vedere come andrà a finire ma credo che ci sarà da divertirsi a veder  battagliare club dai nomi esotici  come l' anzhi o lo zenit o lo shanghai xhenhua nel tentativo di accaparrerei l' impomatato, perché parliamoci chiaro: nell' Europa in crisi nessuno può permettersi di pagare così tanto un giocatore.
Promettendovi un articolo di approfondimento sui nuovi orizzonti del calcio esotico vi saluto
 Fedde

p.s.: ebbene si la foto di Ronaldo l' ho scelta in base alla capacità di accalappiare lettrici del gentil sesso.

lunedì 3 settembre 2012

Stessa spiaggia, stesso mare (di polemiche)


Arbitri disastrosi e campi inguardabili: in Serie A nulla di nuovo all’orizzonte, anzi.

Mi è capitato in passato di assistere ad alcune gare del campionato di Terza Categoria, l’ultima del panorama calcistico italiano, l’ultima un po’ in tutti i sensi. Livello tecnico modesto, campetti di periferia dove ad innaffiare troppo c’è il rischio di far nascere pomodori, arbitri mediocri che per fischiare un rigore ed espellere qualche “maestro” del fallo da tergo prendono giusto giusto il rimborso benzina (e a giudicare dai prezzi della verde, non credo che tale rimborso basti a coprire la spesa per raggiungere Roccacannuccia o Monculi sopra Empoli).
Ebbene, la seconda giornata dì Serie A, l’elite del pallone nostrano che dovrebbe essere tutto il contrario del dilettantismo allo stato puro, ha richiamato alla mia mente proprio quei campetti di periferia che l’erba non la vedono da decenni e quegli arbitri mediocri di cui sopra. E’ un mio pensiero, ma qualcuno che la Terza l’ha vista da vicino il paragone l’avrà fatto.

Non è certo passata inosservata la “spiaggia” del San Paolo di Napoli, stadio dalla enorme capienza e dal prato (mi fa senso anche chiamarlo in questo modo) inesistente. Il match di ieri tra Napoli e Fiorentina sembrava fosse giocato a Milano Marittima più che nel capoluogo campano: ci mancava solo che per fare le porte si usassero le infradito. Una pugnalata al petto per gli esteti del calcio, un pericolo per i fragili arti inferiori dei 22 calciatori in campo perché su un terreno così si può infortunare anche Seedorf che ha le gambe di marmo. Uno spettacolo indegno, dunque, per i 32mila del San Paolo che si chiedono se con il costoso biglietto per entrare allo stadio si paga anche il compenso del giardiniere.
Io mi domando e dico: l’ultima gara giocata al San Paolo prima di ieri è Napoli-Siena del 13 maggio.
Dal 13 maggio al 2 settembre c’è un intervallo di 111 giorni, se la matematica mi assiste. Possibile che in tutto questo tempo non c’è stato modo di curare il terreno di gioco e renderlo presentabile per l’esordio della nuova stagione? De Laurentiis ha sentenziato: sarà pronto tra un mese. Speriamo non stia parlando del raccolto.
Passiamo ai soliti scempi della classe arbitrale. Ogni anno designatori, Federazione e addetti ai lavori vari si e ci promettono di non ripetere più gli errori della passata stagione e affermano “che quest’anno i nostri arbitri sono bravi, giovani e preparati”. Non solo: la tanto ventilata sudditanza psicologica a favore delle “grandi” è un’illazione di cattivo gusto e l’imparzialità dei fischietti italiani non è in discussione. Passati 180’, a me pare che si vada indietro come i gamberi.
Brevemente, i fatti: Udinese-Juventus sullo 0-0, Giovinco scappa via verso la porta con il pallone che rimbalza e sta per essere intercettato dalla “Formica Atomica”, il portiere friulano Brkic esce come un Frecciarossa, ma “deraglia” e prende la capoccia dello juventino al posto del pallone. Rigore assegnato: ok. Rosso diretto a Brkic: ma siamo matti? Il serbo effettivamente commette fallo, ma figuriamoci se una cosa così è da espulsione. L’inflessibilità ingiustificata di Valeri spiana la strada alla Vecchia Signora, che poi ne farà altri tre subendone uno solo, ma certamente gli schemi erano già saltati e le scatole di patron Pozzo giravano già al dodicesimo del primo tempo.
Altra partita, stessa solfa: Bologna-Milan sullo 0-0, Boateng lancia Pazzini che fa a sportellate con Cherubin, l’ex interista fa di tutto per buttare giù il difensore felsineo, va a finire che cadono tutti e due. Tagliavento è vicino, ma non distingue i colori delle magliette e indica il dischetto. Cose da pazzi, è proprio il caso di dirlo, perché il “Pazzo”, quello rossonero, firma l’1-0 che sblocca la partita e fa imbestialire il “Dall’Ara”. Finirà poi 3-1 per il Milan; i riflettori si spengono, ma il disastro del fischietto di Terni rimane.
Insomma, ben ritrovata Serie A. Ahimè, non sei cambiata proprio per niente.
Simone Sagulo
@SaguReSole